Procida: commenti al vangelo di domenica 19 settembre – “La salvezza che viene da quaggiù”

Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti”. Mt. 10,26-27

Terzo appuntamento con la rubrica domenicale dei: “commenti al vangelo di chi è “svestito” , senza paramenti, dottrine e gerarchie, ma non per questo “senza Dio”.

Queste riflessioni di oggi possono incoraggiare l’uomo di questo tempo a rileggere e  “purificare” l’idea  del  volto di Dio…e gioire ed agire perchè il mondo si umanizzi.

Rileggete la la riflesione di domenica  puòi cliccare 5 settembre e di domenica 12 settembre

Lina Scotto.

Oggi  riflettiamo sul vangelo di Lc 16,1-13 ,di cui trovate un commento in allegato di p. Alberto Maggi del Centro Studi biblici “G. Vannucci” di Montefano (Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte) e il testo qui di seguito di Mirella Arcamone*.

LA SALVEZZA CHE VIENE DA QUAGGIÙ

Lc 16,1-13

Una  parabola paradossale , oggi, da  Gesù. Sembra davvero chiudere i giochi e dar ragione agli amministratori disonesti, scaltri, doppiogiochisti esperti delle cose di quaggiù.

Tutto a posto. Ai” figli della luce” il Regno di Lassù (quando sarà…). Ai “servi di mammona” le cose di quaggiù. O, peggio, due pesi e due misure. Un bel dualismo semplificante. Radicali, assoluti, abbandonati nelle “cose dello spirito”: bei riti, messe quotidiane, ipocrite ed astratte proclamazioni di valori cattolici, bandierine. E poi, scaltri, furbi, egoisti, corrotti e corruttori nelle cose di questo mondo. Queste chiedono altre abilità. Bisogna saperci fare, hanno altre leggi, altri criteri… basta che in fondo le utilizziamo per uno scopo buono, magari un bene superiore che solo pochi intendono.

A rileggere bene, non pare davvero che Gesù la pensi così.

Innanzitutto, il Regno esige una decisione urgente, piena, radicale, più e meglio di quella per mammona. Ai figli della luce, poi, tocca saper usare le cose di questo mondo, ma rimanendo fiduciosi solo in Lui, rifuggendo gli inganni di mammona. È vero, vivere in questo frattempo sostanzialmente significa sporcarsi le mani con l’imperfezione, con le cose, il denaro, la proprietà, il profitto. È la condizione di laicità intrinseca alla nostra storicità, siamo “nel mondo”. È la “mondità” la cifra della nostra salvezza. Il luogo dell’incontro col Padre è qui, e persino il nostro cuore, spazio dell’incontro intimo con Lui, è colorato dell’esperienza della nostra carne tutta intera. E questo è vero persino per chi fa la scelta della vocazione religiosa, che con più evidenza annuncia al mondo la diversità evangelica che viene dal Regno.

Non si può fare a meno di trafficare con le “cose di quaggiù”, anzi, il paradosso vuole che siano esse il luogo concreto della differenza. C’è, infatti, una differenza cristiana nel maneggiare, nel trafficare le cose di quaggiù. Una differenza radicale, però, che non consente di cavarsela con autogiustificazioni del tipo “quando il fine è buono…”.

Qui il fine modifica il mezzo, il fine fa il mezzo. Il Regno di Dio, promessa per il credente, diventa fonte di uno stile nuovo, esigente aurora di un nuovo orientamento di vita. Qui il fine dà mezzi nuovi a chi lo accoglie. Avere accolto il Regno, qui ed ora, per i figli della luce significa avere un rapporto,nuovo con le cose, con il mondo. Libero poiché la salvezza viene solo d Lui, e ad un tempo responsabile, poichè essa è posta nelle mani dell’uomo. Nessuna idolatria, i beni di questo mondo non danno la felicità. Nessun ipocrisia, non sono ininfluenti. Toccherà… maneggiare con cura, con competenza, con preveggenza, come cose non proprie, ma capaci di produrre – a seconda dell’uso – grandi benefici e, ad un tempo, tremendi dolori.

Conoscere, studiare le leggi di questo mondo, essere persino più scaltri dei servi di mammona, essere tecnicamente competenti, da laici, appunto. Esperti di questo frattempo senza scambiarlo per il Regno. Anzi, radicati profondamente nella novità del Regno perpetuamente oranti (come esige Paolo), perché, somigliandogli, in qualche modo anticipandolo (Teilhard D Chardin), questo mondo annunci l’Altro, questo tempo accolga, ancora, l’Eterno.

Altro, infatti, è trafficare per il proprio, personale, arricchimento. Altro usare con prudenza, per il miglior bene possibile di tutti. Altro è maneggiare cose (beni, denaro, imprese, manodopera…) mirando al proprio profitto. Altro, avendo a cuore la dignità delle persone, la crescita della comunità umana, la denuncia che sale dalle condizioni servili degli ultimi di questi mondo. Altro è mirare al proprio privilegio di categoria, di casta, di classe, volte persino di comunità ecclesiale Altro denunciare le iniquità dei potenti o anche solo dei benestanti – con le parole di fuoco di Amos, rinunciando ad ogni privilegio, e persino, come comunità ecclesiale, a quanto ci è

dovuto, perché le nostre parole suonino più vere, limpide, piene, in favore di ogni donna e uomo (Gaudium et Spes, 87).

Mirella Arcamone

* Insegnante di scuola superiore, dal 2005 è presidente Nazionale del Mieac, Movimento di Impe gno Educativo dell’Azione Cattolica Italiana. Scrive regolarmente su Proposta Educativa, il mensile del movimento.

XXV TEMPO ORDINARIO – 19 settembre 2010


Lc 16,1?13
[In quel tempo Gesù] diceva anche ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Potrebbe interessarti

La quiete dopo la sofferenza

Di Michele Romano Nella triste stagione del Coronavirus, il morire nella solitudine e nella disperazione …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com