Mussolini folla
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Mozione antifascista a Cagliari: gli scheletri del XX secolo e una lunga ombra che suggestiona futuro

di Nicola Silenti da admaioramedia.it

Eternizzare il passato per soggiogare il presente. La maggioranza di sinistra del Consiglio comunale di Cagliari ha inflitto alla sua cittadinanza, nei giorni scorsi, una impareggiabile lezione di libertà, elevando i suoi ispirati esponenti al ruolo universale di maestri della democrazia.
Una lezione inflitta con tanto di mozione ufficiale a una cittadinanza ignorata e abbandonata a sé stessa, e che oggi vede restringersi d’imperio i limiti dell’esercizio dei più elementari diritti civili per effetto di un atto che non guarda al presente né tanto meno al futuro, bensì a un passato che dovrebbe essere consegnato alla storia.

Un episodio ben più preoccupante degli innegabili risvolti comici cui s’accompagna, che mostra in modo esemplare il paradosso di una parte politica che pretende di decidere chi può partecipare alla vita democratica e chi invece deve esserne escluso. Una vicenda che, in realtà, è assai rappresentativa di quanto accade in Italia, un paese in cui sembra essere impossibile rispettare le idee e gli ideali del passato senza diventarne schiavi.
A dispetto di un Ventunesimo secolo denso d’incognite e quanto mai convulso, gli italiani continuano a
esercitarsi nell’eterna disputa tra bene e male che non produce benefici di sorta a nessuno. Lungi dallo
scadere in un rigurgito relativista, chiunque abbia l’ardire di approcciarsi al fenomeno rifuggendo a priori da ogni partito preso non può fare a meno di porsi delle domande. Davanti alle incombenze di un
quotidiano che diventa sempre più feroce, davvero aiuta a decifrare il presente attardarsi nella
contrapposizione tra le ragioni e i torti del passato? Davvero la disputa tra fascisti e antifascisti è la
spia di una divisione netta dei nostri connazionali sulle istanze del presente? Davvero, liberi dai
pregiudizi e dagli schemi di un passato non si sa bene quanto metabolizzato e compreso, i nostri
connazionali si disporrebbero tra le file opposte di due eserciti nemici davanti alle urgenze del quotidiano?
In realtà, nessuna teoria sul patrimonio ereditario degli italiani ha mai avallato una qualsivoglia tara
congenita del popolo italico: una sorta di deficit immunitario se non addirittura un morbo incurabile che
condanni noi tutti sempre alla guerra fratricida tra bianchi, rossi, neri e così via. Un popolo avvinghiato ai suoi odi intestini, prigioniero delle scelte di campo senza se e senza ma e di una disfida che sembra
destinata all’eterno: o con Cesare o con Pompeo, o con i guelfi o con i ghibellini, o con il Papa o con
l’Impero, in una disputa interminabile che pare destinata a non avere fine. Tutto a patto di non parlare
del presente, di vivere l’oggi, di fermarci a osservare cosa passa davanti ai nostri occhi, invece di
guardare a tutti i costi cosa ci siamo lasciati alle spalle.
Una considerazione ovvia, forse, ma che rafforza la convinzione che a noi tutti convenga rifugiarci nella
bambagia di un passato che ci anima, ci conforta e ci rassicura, specie davanti a un presente che ci
spaventa e non poco. Una strana ventura, questa, che poco si addice a un popolo che non sembra affatto
brillare per amore dell’analisi storica guardando i dati sugli ingressi nelle nostre biblioteche o il fatturato
delle nostre case editrici, offese dal volume complessivo di una vendita di libri che da tempo suona
indegna di un paese civile. Un paese specializzato nelle contrapposizioni da stadio e nel tifo da
curva, ma ben poco incline alla riflessione e alla dialettica costruttiva. Un paese in cui non si riesce a
fare a meno di un nemico, in ragione di quel meccanismo perverso con cui, ad esempio, la sinistra, a
dispetto della realtà, mantiene in vita un antagonista che non esiste al solo scopo di «rafforzare la
propria parte politica, soprattutto quando c’è penuria di idee ‘forti’». Un meccanismo descritto da Luigi
Iannone in una recente intervista di Manlio Triggiani su “Il Borghese”, che mette in risalto lo sciagurato
espediente con cui «si tirano fuori dall’armadio vicende vecchie di un secolo per ancorarsi al trapassato
remoto».
Comunque la si pensi, il campo della vita civile continua nel nostro Paese a essere carico di idee,
concetti e dispute di un passato che non vuole passare. Un passato che invece di diventare materia di
studio per gli storici e argomento di analisi per appassionati non vuole invece saperne di evaporare
dall’ambito della propaganda, imprigionando noi tutti senza soluzione di continuità nelle sabbie mobili
dell’ultimo secolo di storia. Eppure, anche a uno stolto dovrebbe apparire innegabile che il tempo
passa, il mondo cambia e anche noi abbiamo il dovere di vivere il presente, invece di rifugiarci ciascuno
nel nostro passato, glorioso o meno che sia a seconda dell’opinione di ciascuno. Sapersi affrancare dalle
zavorre ideali non significa abiurare o insultare la memoria di chicchessia, ma al contrario assumersi la
responsabilità di mettere mano al presente per costruire il futuro che si deve ai nostri figli.

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