La perdita di senso della politica come tolleranza, civiltà, mediazione, prudenza, sincerità pone qualche riflessione per comprendere in quale direzione stanno procedendo le forme classiche di essa, la destra e la sinistra. Così sperimentiamo che la prima è impregnata dell’idolatria, della follia del nazionalismo che celebra il suo culto sull’altare dell’esasperato e implosivo patriottismo. Invece, la seconda dall’intemperanza giacobina che conduce alla deriva manichea della virulenta lotta tra il bene, di cui ci si sente l’espressione, e il male, rappresentato da tutti coloro che vivono al di fuori del proprio campo d’azione. Ciò nel nostro Paese si sta sviluppando in modo ossessivo tale da poter mettere a repentaglio l’esistenza dello stato di diritto e la democrazia. Infatti, ci troviamo davanti ad una destra arrembante sull’esclusivo ed egoistico sovranismo, tenendo gli occhi, il cuore, la mente totalmente chiusi ed ottusi alla scomposizione, alla deflagrazione etnologica ed antropologica che sta avvenendo sul pianeta Terra. Dall’altra parte all’ottusagine della destra non è la sinistra risponda nel modo migliore possibile. Ormai svuotata di idee, valori, visione concettuale, è in balia di un populismo giustizialista che la spinge a sostituire l’ideale del socialismo con un’ideologia dello stato etico di cui è portatore il filosofo tedesco Fichte, il quale nella “Missione della storia” afferma che l’”Io etico”, impregnato di moralismo e manicheismo, diventa l’identità di un popolo e di una nazione. Ciò costituì, a sua insaputa, dopo quasi due secoli, il punto di partenza dell’avvento della razza pura del nazismo. Ecco cosa sta succedendo. Che la sinistra rinuncia alla propria autonomia socio-culturale, affidando alla magistratura il compito di estirpare il male tanto da considerare i processi e gli arresti ciò che una volta erano le lotte di massa. Qui si avverte la percezione di scivolare in un democraticismo giustizialista in cui la gogna mediatica tende ad assumere la funzione che nel passato hanno avuto il rogo, l’impiccagione, la ghigliottina. Un segnale di tale soggezione giudiziaria viene offerta dai sindaci di Roma e Milano che affidano a due magistrati il compito di orientare l’iter della propria amministrazione. Se le cose stanno così, il quadro politico si incastra in due tolleranze, sovraniste e populiste, che possono condurre il nostro stato a diventare una comunità illiberale. Infatti chi coltiva principi rigidi, concezioni che non consentono mediazioni, in ogni ambito, finisce sempre per turare la bocca agli animi liberi riconoscendo, nella natura stessa del loro modo di pensare, che costoro costituiscono una minaccia per l’egemonia che desiderano imporre. I fanatici estremi di tale concezione, nel costringere gli altri al proprio conformismo, si accreditano a dire che sono spinti da tale missione nel tentativo di salvare l’anima dei tanti riluttanti ed ostili a voler ricevere l’ancora che evita il naufragio. Simile al significato che offrono i talebani all’imposizione alle donne di portare il burqa, di chiudersi in casa, a rinunciare all’istruzione e al lavoro per la loro salvezza esistenziale. Certamente qui ci troviamo davanti alle devastanti conseguenze di una società tribale, lontana anni-luce dalla nostra democrazia. Ma la deriva in cui sono caduti i partiti, le istituzioni giudiziarie, educative, la carta stampata, la comunicazione televisiva nel porre al centro delle loro relazioni il sentimento dell’odio che copre il loro vuoto cosmico pone qualche preoccupazione per il futuro del nostro Paese perché le fiamme dell’odio che si poggiano sulla paura, sull’ignoranza, sulla gelosia, sulla collera, sul disgusto, ingredienti avvolti dalla retorica bigotta, alimentano la repressione, la meschinità, la menzogna. In tal senso troviamo appropriata l’osservazione di Hermann Hesse quando dice che “si odia una persona perché si odia qualcosa in lei che è parte di noi. Ciò indica che nasce in sordina simile all’ardere del fuoco per accrescere a poco a poco fino a abbracciare tutto ciò che ci circonda.” Ecco, la prima cosa da fare per uscire dal vicolo cieco è che tutti i soggetti in discussione acquisiscano l’urgente consapevolezza di spegnere il bruciore odioso che si annida nel cuore e nella mente e poi, probabilmente, riappropriarsi delle parole chiave dell’antica saggezza che sono “percorso, pausa di riflessione, ragionamenti, decantazione” intesi come passaggio da veti insuperabili ad incontri di riconciliazione guidati dall’etica della responsabilità e da cuori inondati da spirito misericordioso. Senza questo ribaltamento interiore organizzare agorà, convegni e altro non diventa che espressione di aridi e futili “flatus vocis”.
Postilla finale
La tragedia ucraina, innescata da un pazzo ubriaco di crudele cinismo al punto di condurre una guerra di regime autoritario con similitudini naziste, manifesta il disarmo totale della politica mondiale. Guardando ciò nei meandri dell’orticello socio-politico del nostro Paese ci imbattiamo nel livello di banalità in cui si è sommersi. Ciò è dovuto all’orgiastica espansione sovranista e populista che ha investito la nostra società tanto da alimentare tani “micro-Putin” che hanno invaso i partiti, settori istituzionali come la magistratura, un nostalgico ceto intellettuale, le redazioni dei giornali e della comunicazione televisiva e sociale. Sarebbe cosa opportuna e decisiva che tali soggetti, se ancora possiedono un briciolo di sana accortezza, facessero un acuto “mea culpa” e una purificatrice autocritica altrimenti c’è il fondato rischio che l’Italia, sulle orme di Putin, si trovi in prima fila a diventare uno Stato frutto di un’insulsa brodaglia di nazifascismo e di stalinismo con tutte le sue gravi conseguenze.
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