Un paese, l’Italia, da anni alle prese con una crisi economica senza precedenti e un corollario di urgenze da tempo immemore inascoltate e inesaudite, accatastate come i faldoni di certi uffici pubblici che si accumulano negli anni tra armadi, schedari e sottoscala nel presagio unanime di finire consumati per noncuranza, fastidio o anche per la troppa polvere.
Un universo, quello marittimo-come ricordiamo da tempo- che lamenta e chiede da decenni risposte concrete a una serie impressionante di freni, intoppi e astrusità mastodontiche che è tempo di sciogliere liberando finalmente alle rotte del commercio globale le energie represse e le potenzialità sopite di un settore individuato da tempo come uno dei più promettenti in termini di redditività, per voci importanti del sistema economico nazionale come portualità, il trasporto di merci e passeggeri, la cantieristica, la pesca e il diporto.
Istanze sollevate con cognizione di causa dai professionisti del settore, dalle associazioni di categoria, da armatori e studiosi delle cose di mare. Voci unitarie eppure inascoltate nella richiesta vana di un Ministero della Marina mercantile che pure sarebbe la legittima e doverosa premessa del nuovo corso di un comparto che non può e non vuole più accettare di accontentarsi.
Chi conosce la materia sa quanto il mare e l’universo delle attività che può generare sia non soltanto una risorsa essenziale, ma anche, o soprattutto, un’incredibile fonte di ricchezza. Una risorsa inestimabile da tutelare e preservare per la nostra sicurezza alimentare, per la sicurezza e la qualità “green” del trasporto di merci e persone, per le ricadute vantaggiose sulle attività d’impresa e quelle di servizi fondamentali che costituiscono il perno del cluster marittimo italiano.
Voci destinate a una crescita esponenziale, sempre che qualcuno dalle parti di Roma abbia voglia di accorgersene.