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Un uomo tradito

bernaccadi Giuseppe Ambrosino di Bruttopilo

Fosse vissuto ai giorni nostri l’avremmo chiamato Bernacca. L’arte di prevedere il tempo era per lui una dote innata. Si chiamava Enrico d’Ignazio e visse a Procida nel secolo scorso . Di mestiere faceva il contadino. E i contadini di Solchiaro, la località dove possedeva un pezzo  di terra, lo consideravano  quasi uno stregone.

– Amma dumandà a Enrico d’Ignazio! – sostenevano prima di intraprendere qualsiasi opera in campagna.

Enrico era felice di rendersi utile e a qualsiasi ora era sempre disponibile.

Trascorreva l’intera giornata nel suo orto, e  anche i suoi frugali pasti li consumava lì sul posto. O sotto il fico all’esterno o nel piccolo vano, adiacente la cantina, dove aveva a disposizione anche il letto per i lunghi pomeriggi d’estate. Soltanto a sera inoltrata tornava  nella sua casa  in paese, dove ad attenderlo c’era la giovane moglie. Giovane ed anche bella.

A lei pensò il buon Enrico, in un’assolata giornata di Ferragosto, quando scrutando tra il verde fogliame del  fico, che faceva ombra al cortile, notò numerosi frutti maturi. Ne aveva forzato lui stesso la maturazione, “pungendoli” abilmente  ad uno ad uno,  nei giorni precedenti, con un batuffolo intriso d’olio, affinché maturassero proprio il giorno dell’Assunta, per farne un regalo a sorpresa alla moglie. Enrico ricordava d’altronde che  nel giorno dell’Assunta, per tradizione, non si poteva usare la scala, né si poteva salire sui tetti, per rispetto alla Madonna, che proprio oggi ascendeva al Cielo.

Ma  il rozzo contadino riteneva che fossero tutte sciocchezze e quindi prese una scala e salì sull’albero.

Nel raccogliere i succulenti frutti,  dall’alto della scala si accorse, però,  che un grande nuvolone nero incombeva  minaccioso a levante, oscurandone  tutto il cielo.

Il previdente contadino  capì subito che da un momento all’altro si sarebbe scatenata una tempesta.

Perciò, appena riempito il paniere, scese  dall’albero e pensò che gli convenisse tornarsene subito a casa. Sellò l’asina, s’infilò al braccio il paniere con le primizie e si affrettò verso la Madonna delle Grazie, il quartiere dove abitava.   Già immaginava la  sorpresa  e la riconoscenza della moglie, per quei bei fichi freschi,  che lui le offriva per dimostrarle il suo grande amore.

Passando per la strada di Pizzaco,  notò che sulla spiaggia sottostante alcuni  ragazzi ancora  si attardavano al sole, noncuranti della cappa plumbea che già  sovrastava  tutta  la terraferma e si avvicinava minacciosa su Terra Murata.

– Giovani  incoscienti, –  pensò Enrico – che ne sanno loro del tempo, che ne sanno della vita, che da un momento all’altro potrebbe riservare loro qualche brutta sorpresa!

E continuò a spronare Teresina, come lui amorevolmente chiamava la sua “ciuccia”.

Per le strade deserte  a quell’ora,  stagnava un’aria calda ed immobile. Soltanto  sul lato in ombra, ai piedi delle case , qualche piccolo vortice  di vento faceva turbinare qualche fogliolina secca assieme alla  polvere. Tutto attorno un silenzio irreale.

Giunsero finalmente  alla Madonna delle Grazie,  dove solo la statua di Scialoja, padroneggiava la piazza. Persino la chiesa era chiusa.

E la gente dov’era? Boh! Enrico non se lo chiese neppure.

Giunto sotto il portone di casa, legò Teresina  all’apposito anello dentro  l’androne e cominciò a salire di corsa le scale.  Il cielo si era improvvisamente rabbuiato.  Tuoni spaventosi squassavano la quiete. I fulmini poi, così ravvicinati, sembravano che da un momento all’altro potessero colpire addirittura  la chiesa. Enrico sull’uscio di casa  dovette fermarsi all’improvviso. La porta era stranamente chiusa dall’interno.

-Quella incosciente di mia moglie –  considerò il buon uomo – sicuramente  si sarà attardata  al mare e sarà  stata sorpresa dalla tempesta! -.

Perciò rassegnato, trasse una grossa chiave dalla tasca dei pantaloni ,aprì lentamente la porta e una volta dentro, attraversò  il lungo corridoio in penombra. Un’aria stagnante, ancora più calda di quella esterna lo colpì al viso. Ad  un tratto gli sembrò di sentire un lieve sospiro,  quasi impercettibile, e poi di nuovo il silenzio più assoluto.  Si diresse verso la stanza da letto, come attratto da un presentimento.  La porta era socchiusa. All’improvviso udì chiaramente  un gemito. L’uomo si fermò. Ebbe quasi timore di scoprire qualcosa di brutto. Fece un piccolo passo, giusto per guardare attraverso lo spiraglio. Lì sul suo letto si agitavano  due corpi nudi, aggrovigliati, dei quali  nonostante si riuscisse ad intravedere soltanto le estremità inferiori, si intuiva chiaramente in che missione fossero impegnati. Ai piedi del letto, abiti sparsi,  al sommo dei quali  risaltava  una nera sottana di prete, con  i numerosi bottoni ancora allacciati. Quel colore nero rendeva ancora più inquietante  la penombra della stanza.

Enrico sentì il suo cuore battere forte, così forte come se  tutti i tuoni del cielo  si fossero scatenati dentro di lui.  Rimase inebetito. Ma soltanto per poco. All’improvviso, come un fulmine gli avesse illuminato la mente,  indietreggiò, buttò all’aria il canestro con tutte le fiche,  ripercorse il corridoio in senso contrario, si lanciò per le scale, saltò in groppa alla sua fedele Teresina, e sotto la pioggia e la tempesta si diresse di nuovo  verso Solchiaro, nella sua casa di campagna.

Qui preparò una  grande pentola d’acqua calda sul focolare, si fece un bagno caldo e si mise a letto. E cominciò a pensare. Sopraggiunse la notte e tanti brutti pensieri affollarono la sua mente, rubandogli il sonno. L’indomani mattina dal Vesuvio spuntò il nuovo sole,  un bel sole caldo e luminoso, che faceva dimenticare la passata tempesta. Ma Enrico non poteva dimenticare. Fino a quel momento  nessuno era venuto a cercarlo. Decise allora di sbarrare il cancello e di non aprire più a nessuno. Lì, in quella casa di campagna, sarebbe rimasto fino alla morte.

La casa alla Madonna delle Grazie, la moglie, la famiglia, gli affetti, che avrebbero dovuto essere i più cari, per lui non esistevano più.

E così Enrico condusse il resto della vita, da eremita, con un solo  grande rammarico, quello di non aver previsto  la grande tempesta, che  in un attimo di un caldo giorno di agosto,  aveva  stravolto per sempre l’intera  sua vita.

E come per rifarsi, maturò nella sua mente una strana idea di vendetta, quella che gli sembrò la più giusta..  Sulla testata del letto appese  il suo vecchio fucile, dopo averlo caricato con scaglie di vetro, come usava solitamente per ammazzare le “zoccole”, con la segreta intenzione di fulminare il prete, che eventualmente si fosse presentato in punto di morte per somministrargli l’Estrema Unzione.

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Un commento

  1. Qualcosa con un lieto fine, ….per favore

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