Procida. Il retroscena dietro il sequestro della Savina Caylyn

di Francesco Furlan tratto dal sito h24notizie.it
E’ il 22 ottobre di un anno fa quando la Dolphin Tanker, joint venture
armatoriale fra la napoletana Fratelli D’Amato e il gruppo genovese Scerni,
incassa una sentenza giuridica sulla liceità della conclusione anticipata di un
contratto di noleggio a lungo termine di una sua unità. Quella nave cisterna al
centro della vicenda legale è la Savina Caylyn che tre mesi e mezzo dopo
finisce nelle mani dei pirati del Golfo di Aden con a bordo ventidue uomini di
equipaggio tra cui il gaetano Antonio Verrecchia.

Un sequestro anomalo per certi versi perché effettuato a 880 miglia dalla
Somalia e a 500 dall’India: distanza inedita per i mezzi in dotazione ai pirati
che lascia aperti dei dubbi anche in considerazione della storia recente della
nave.

Nel giugno 2008, infatti, fresca di cantiere, la Savina Caylyn viene
noleggiata con un accordo quinquennale a 27mila dollari al giorno dalla
Westport Petroleum. Il rapporto, però, come da clausola contrattuale, si
interrompe nel febbraio del 2010 causa il respingimento consecutivo di tre
vetting (una sorta di controllo di sicurezza), eseguiti da tre oil major:
ChevTex, Total e ConocoPhillips. Un’anomalia per una nave nuova come la Savina
Caylyn e che porta la Dolphin Tanker, in seguito alla chiusura anticipata del
contratto da quasi cinquanta milioni di dollari, all’obbligo di pagamento di 34
milioni di dollari per mancati introiti alla società affittuaria . Il primo
arbitrato svoltosi a Londra nel febbraio del 2010 dopo il terzo vetting
fallito, infatti, vede vincitore l’affittuaria Westport Petroleum. Il
successivo ricorso all’Alta Corte da parte della joint venture napoletano –
genovese non va meglio: il giudice Simon respinge tutte le motivazioni tra cui
la collisione occorsa alla nave nel dicembre del 2009 nello Stretto della
Malacca. I vetting falliti, però, non sarebbero solo tre, seppure non
consecutivi. Successivamente all’arbitrato di febbraio la BP, altra oil major,
dà l’ok a un nuovo controllo e la nave riprende il mare con, sulla testa, la
spada di Damocle della decisione, poi sfavorevole, dell’Alta Corte.

Una vicenda meramente economica in cui gli interessi, però, non hanno poco
conto. Quando la Savina Caylyn viene sequestrata a febbraio, infatti, è a pieno
carico: 86mila tonnellate di crued oil ovvero petrolio in attesa di essere
raffinato. Di fatto, però, se così si può dire, la sua reputazione di nave
cisterna è già stata scalfita, oltre che dal contratto rescisso con Westport
Petroleum, dai vetting falliti e, in aggiunta, da alcuni rilievi mossi da
Shell, un’altra delle oil major che regolano il trasporto di petrolio nel
mondo. Una nave, ma qui siamo nel campo delle ipotesi, che sembra uscita male
dai cantieri e su cui anche il personale in servizio a bordo avrebbe,
precedentemente al sequestro, espresso delle perplessità in merito all’
affidabilità. Va detto inoltre che la nave non è assicurata per attacchi da
parte di pirati ma lo è per quanto riguarda il carico così come, per ogni
giorno di ritardo sulla consegna, la società è costretta a una consistente
multa, anche questo caso però, coperto da assicurazione.

Le scioccanti foto dei marittimi rese pubbliche nei giorni scorsi hanno
risvegliato l’attenzione sulla petroliera tanto che, nelle ultime ore, il
ministro della difesa La Russa ha fatto sapere che una nave della Marina
italiana si sta avvicinando alle coste somale per monitorare la situazione dei
marinai con l’obiettivo di “raccogliere più informazioni possibili” sulla
vicenda. Il Ministro ha assicurato che “noi siamo sempre pronti ad entrare in
azione, ma si tratta di un intervento molto pericoloso da attuare solo in caso
di necessità”. La fine dell’odissea dei marittimi sembra di là da venire.

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